“Ohm e carburatori”, Tricia Sullivan a Stranimondi.

Quello che segue è la trascrizione dell’intervento che Tricia Sullivan ha tenuto a Stranimondi lo scorso 15 ottobre.
Ringraziamo Chiara Reali per la traduzione.

Tricia Sullivan SM 2

Per iniziare vorrei ringraziare di cuore gli organizzatori per avermi invitata, e soprattutto Giorgio Raffaelli per essersi preso cura di tutto, fin nel minimo dettaglio. È la prima volta che vengo in Italia, e sono qui con il mio compagno e i nostri figli, è davvero esaltante. Non so nulla della scena fantascientifica italiana, per cui è tutto anche molto stimolante, e spero di imparare molto stando qui con voi.

Ho riflettuto a lungo sulle cose che avrei voluto dirvi oggi. Poi ho pensato che probabilmente non avete davvero idea di chi sia, o di cosa tratti il mio lavoro, per cui ho deciso di raccontarvelo un po’. Stavo pensando che è una buffa coincidenza che l’altro ospite d’onore sia Alastair Reynolds, un astrofisico che prima di diventare uno scrittore di fantascienza lavorava per l’Agenzia spaziale europea. Io invece sono una scrittrice di fantascienza che, a quarant’anni suonati, è tornata all’università e, una cosa tira l’altra, sto studiando per laurearmi all’istituto di ricerca in astrofisica di Liverpool. Ed è buffo davvero: non so se qualcuno di voi abbia mai fatto qualcosa di simile: e cioè, andare contro l’ordine naturale delle cose.

Com’è successo? Be’, la risposta, in poche parole, è: a furia di fallimenti. Ho fallito come scrittrice (dopo vi spiegherò meglio). Nel 2010 mi sono ritrovata a lavorare da casa come freelance, con tre figli piccoli. Era appena uscito il mio settimo romanzo di fantascienza, che era finito in lizza per il British Science Fiction Association Award e per il Clarke, ma stava vendendo poco o niente. Nel corso di un’intervista mi hanno chiesto come mai secondo me così poche donne avessero vinto il Clarke Award, e ne è nata una discussione online sul blog Torque Control che, ai tempi, era gestito da Niall Harrison. Ero felice di vedere che l’argomento fosse preso sul serio: a quei tempi se cercavi su Google “donne e fantascienza” finivi dritto su cose tipo “Le gnocche delle serie TV Sci-Fi”.

A quel punto un importante autore di SF ha deciso di dire la sua. Parlo di uno famoso in UK, uno che guadagna molto più di quanto guadagni io. Ha linkato un articolo che affermava che ci sono poche donne scienziate perché alle donne “non interessano i carburatori o gli ohm”.

Ricordo benissimo la sensazione fisica che mi hanno causato quelle parole. Che tradimento, da parte della comunità a cui appartengo. Ero arrabbiata, ma soprattutto mi sentivo devastata. In rete ho detto che mi sarei “ritirata nel capanno a sfogarmi sul sacco da Muay Thai”. E invece ho pianto. Tantissimo. Ricordo di avere detto al mio compagno, tra le lacrime, “non è che voglio diventare la scrittrice più famosa di tutti i tempi, voglio solo che ci sia un posto anche per me”.

Nello stesso periodo, avevo scoperto che l’abilitazione all’insegnamento che avevo ottenuto negli USA non era valida nel Regno Unito, il che voleva dire che non potevo cercare lavoro. Il governo britannico, però, stava offrendo borse di studio per gli insegnanti di scienze, per cui ho pensato di iscrivermi a un paio di corsi di biologia per avere i requisiti per una borsa. (Per una coincidenza fortuita, in quel periodo anche la scrittrice Steph Swainston ha fatto qualcosa del genere, ma per insegnare chimica). Quella frase sui carburatori e sugli ohm mi aveva fatto arrabbiare così tanto, mi ero sentita così tradita che ho pensato, ah sì? Gli dimostrerò che ha torto.

Non ho pensato al fatto che l’ultima volta che avevo studiato matematica avevo 15 anni e mi ero guadagnata un’insufficienza: mi sono iscritta a dei corsi di matematica e fisica alla Open University.

Tricia Sullivan SM

(foto © Elisa Giudici)

Se avessi saputo in cosa mi stavo imbarcando, probabilmente non ne avrei avuto il coraggio. Nei primi anni, cercare di recuperare il tempo perso su entrambe le materie è stato orribile: demoralizzante ed estenuante in ugual misura. Mi sentivo straniera in una terra straniera, presente? La mentalità che avevo sviluppato per scrivere non serviva per queste cose. La matematica richiede una concentrazione assoluta, la disponibilità all’errore, la tranquillità nel riprovarci ancora e ancora e ancora. Le emozioni non servono, anzi: sono solo d’ostacolo.

Era un bel problema. Le emozioni sono la benzina che mi permette di scrivere. Questa meditazione fredda e razionale non mi apparteneva, sospettavo anzi di esservi allergica. Certo, il fatto che dormissi poco o niente e dovessi correre dietro ai bambini con un sottofondo del Trenino Thomas e Sonic the Hedgehog non mi era d’aiuto.

Ma ho tenuto duro. Per fortuna gli ostacoli iniziali sono stati i più difficili: calcolo e meccanica. E quando dico meccanica non parlo di carburatori, ma del movimento dei corpi soggetti alla forza di gravità. Parlo di missilistica.

Mi ritrovo a combattere contro l’impulso di dire, ma io non sono mica un missile, quando si tratta di scienza: faccio schifo.

Vero: non sarò mai la persona più quantitativa del mondo. E devo confessare che sì, non me ne frega niente dei carburatori: in generale, le macchine mi interessano poco. Ma mi interessa la natura, e la missilistica non è che la punta dell’iceberg. La fisica non è solo meccanica orbitale.

La fisica sta alla base di tutto ciò che accade in natura. È un campo di studio fantastico, pieno di mistero, ancora più strano di quanto si possa immaginare. La parente più stretta della fisica, la matematica applicata, si trova ovunque al giorno d’oggi. Biologia, economia, scienze ambientali o scienze sociali: pensate a una qualsiasi materia, la matematica è usata per costruire modelli della realtà e per prevederla. Viviamo nell’era dei big data. Se tutto ha a che fare con la natura della natura, come si fa a non essere interessati?

E certe domande fondamentali riguardano tutti, non solo quelli di noi che hanno una passione per la meccanica o sono dotati di testicoli. Ci riguardano tutti.

Mi sono dovuta reinventare per intraprendere la strada della fisica. Credo di non aver mai capito quanto fino a quando un paio di anni fa una conoscente della scuola di mio figlio non è venuta a trovarmi per un caffè. Eravamo sedute al tavolo in cucina a chiacchierare: lei, nel tempo libero, stava lavorando a un progetto artistico, io avevo appena iniziato a studiare meccanica quantistica. Mi guardava con aria perplessa.

“Okay, ma ci credi in quelle cose?”, mi ha chiesto. Sono scoppiata a ridere un po’ nervosamente. Stava forse confondendo la meccanica quantistica con l’omeopatia? In fondo cristallografia e cristalloterapia possono suonare simili.

“Non è che ci devo credere”, ho risposto. “La tecnologia che emerge dalla fisica quantistica sta facendo funzionare il tuo telefono in questo esatto momento. Le prove sono ovunque”.

Esperimento Young

(double slit image from philschatz.com)

E così sono finita a cercare di spiegarle l’esperimento della doppia fenditura di Young. Lei ha guardato il mio disegno, le onde luminose e tremolanti che si dirigevano contro un muro con due fenditure e ha iniziato a ridacchiare. Mi ha detto, “scusa, è che sembrano spermatozoi!”

In quel momento mi sono riconosciuta in lei. Ho ricordato tutte le volte in cui mio fratello, così lineare e organizzato (è poi diventato un ingegnere) aveva cercato di spiegarmi un problema algebrico, e io l’avevo interrotto per parlare di unicorni.

Quando ho iniziato mi sarebbe piaciuto aver letto il libro di Barbara Oakley, A Mind For Numbers. Oakley ha iniziato lavorando come traduttrice dal russo per l’esercito statunitense per poi dedicarsi, verso i venticinque anni, alla matematica e all’ingegneria, per migliorare le sue prospettive lavorative. Come me, aveva dovuto iniziare da zero, e così ha cominciato a studiare il modo in cui le persone apprendono la matematica e le scienze. Oakley, che insegna ingegneria, ha descritto dei metodi di apprendimento basati sulle neuroscienze che permettono a chiunque, a qualunque età, di imparare la matematica più avanzata, sfruttando la plasticità cerebrale.

Mentre mi reinventavo come apprendista scienziata, la cultura ha iniziato a cambiare atteggiamento nei confronti delle donne. È un processo terribilmente lento, ma le cose stanno migliorando. Nel Regno Unito, non molto tempo fa, un professore di fisica è stato licenziato per avere dichiarato che le donne dovessero lavorare in laboratori separati perché “piangono, e poi te ne innamori”, ma ai miei tempi frasi come questa erano all’ordine del giorno. Ogni volta che vedo un professorone perdere il posto di lavoro per molestie sessuali, penso al mio insegnante di matematica delle medie. Avevo dodici anni (casualmente, proprio l’età in cui ho smesso di essere brava in matematica). Il professor Ryan, sulla parete dell’aula, aveva appeso il famoso poster di una Brooke Shields quindicenne, quello in cui indossa solo un paio di jeans aderenti e dice “Vuoi sapere cosa c’è tra me e i miei Calvin? Niente”. Nessuno a quei tempi pensava che il professor Ryan fosse un pervertito, anzi: era considerato uno fico. È questo quello che intendo quando dico che la società è cambiata.

Un’altra cosa che è cambiata, da quando sto studiando per laurearmi, è che c’è molta più attenzione nei confronti delle scrittrici di fantascienza, che fino a poco tempo fa erano spesso ignorate. È il risultato di lunghe ed estenuanti discussioni all’interno delle comunità SF americana e britannica, sia in rete che nella vita reale. Ann Leckie è esplosa come autrice con i suoi libri che sfidano i pregiudizi di genere, e da quello che mi è parso di capire questa ondata di consensi è stata la diretta conseguenza di un esplicito sforzo da parte della sua casa editrice e dell’intera comunità SF di far risaltare il lavoro delle autrici donne.

TriciaSullivan OccupyMeNel mentre, io stavo piano piano scrivendo Occupy Me, che è stato pubblicato qualche mese fa. Ho deciso che avrei voluto spingere le mie idee al limite, correre dei rischi enormi, consapevole che solo poche persone l’avrebbero letto. Ho potuto farlo perché, grazie alla fisica, non ho più paura di fallire. Non solo: non mi importa più che il mio lavoro sia riconosciuto. Ho imparato a giudicarlo da me, e so quando sono riuscita a raggiungere il mio obiettivo, quando scrivo, anche se nessun altro se ne dovesse accorgere. Sono scesa a patti col fallimento.

Come ci si sente?

È come costruire navi e vararle per poi guardarle affondare, a volte ancora nel porto, altre al largo. Senza nemmeno aspettare che i relitti tornino a riva, andare a prendere altra legna e fare quello che devi fare, ancora e ancora. È esattamente così.

E la verità è che tutte le barche affondano, prima o poi. Tutte le persone muoiono. Niente è per sempre. Per questo non dobbiamo prendere i fallimenti come un affronto. E vi dirò di più: quando ci permettiamo di sentirci a nostro agio col fallimento, di farci amicizia, succedono un sacco di cose interessanti. Se ci permettiamo di sederci insieme al fallimento senza fare una piega, di annusarlo, di parlarci, diventa un amico, non qualcosa di cui avere paura. E, soprattutto, fallire non è la fine: è un inizio.

Quindi, di cosa tratta il mio lavoro? Occupy Me è un rompicapo selvaggio e adrenalinico che parla di consapevolezza e cosmologia. Tutti i miei libri parlano di consapevolezza, in modo più o meno esplicito. Molti di loro trattano anche di dualismo, e di solito utilizzo punti di vista paralleli per ottenere l’effetto desiderato. Lo faccio – soprattutto in Maul, che è da poco stato pubblicato in italiano da Zona 42 col titolo di Selezione naturale – sovrapponendo trame che c’entrano poco le une con le altre, lasciando che si scontrino per vedere cosa ne esce fuori. Mi piace lasciare ai lettori lo spazio per l’interpretazione. Mi piace farli sentire disorientati, fargli mancare la terra sotto ai piedi. Per me è proprio questa l’essenza stessa della fantascienza, ancora di più che della narrativa realistica. Lasciare che il lettore possa mettere la propria immaginazione al lavoro, che possa contribuire con la sua interpretazione. Scrivo libri per persone a cui piace masticare le idee, che hanno i denti e la voglia di pensare. Non ho nessuna intenzione di imboccarle.

Grazie per avermi ospitata.

 

Pubblicato in Selezione naturale.