Madre delle ossa, recensioni #1

Su Libri Nuovi è uscita un’ottima recensione a Madre delle ossa di David Demchuk firmata da Silvia Treves. La recensione è arricchita da un estratto dell’intervista dell’autore canadese pubblicata da Augur Magazine.

Ve la riproponiamo qui di seguito.


Madre delle ossa, opera narrativa d’esordio del drammaturgo David Demchuk, è un’antologia horror molto peculiare che si dipana nel tempo e nello spazio, partendo dall’Ucraina dell’interguerra, da cui proviene la famiglia dell’autore, fino a giungere al Canada del 21° secolo.
Il testo, intensamente weird, è un mosaico di vicende narrate ognuna da un personaggio, la maggior parte legate dal luogo di provenienza. Al confine tra l’Ucraina e la Romania c’erano un tempo tre villaggi, legati da antiche tradizioni del folklore e da un patto inquietante con una fabbrica di preziosissimi ditali acquistati dai ricchi e dai nobili di tutto il mondo occidentale.

[…] I lavoratori vivevano lì, mangiavano lì, dormivano lì, per tutta la durata dei loro contratti, e poi venivano rispediti a casa con la pensione a vita, sufficiente per vestirsi e per l’affitto e per sfamare famiglie ormai sconosciute.

In quei villaggi nessuno fa veramente la fame:

[…] A quell’epoca pensavo che tutti i villaggi e i paesini attorno a noi ricevessero le visite delle camionette che garantivano il cibo, ma imparai presto che i nostri tre villaggi erano gli unici a essere sfamati.

Nelle piccole comunità viveva povera gente che si ostinava a vivere con tutte le sue forze, superando i saccheggi della guerra, la carestia e i pogrom fascisti durante il terribile decennio definito movchanya. Lì gli umani convivevano con entità pericolose e antiche come la Baba Yaga, le rusalche, gli strigoi, il vovkulaka, ed esseri ancora più inquietanti e a loro modo magnifici: il drevniye, e il Malen’kiy Sprut.

Nel testo, inquietante e pieno di forza, l’autore accosta un mosaico di brevi storie e vecchie fotografie in b/n provenienti dall’archivio, disponibile in rete, del fotografo rumeno Costică Ascinte. Si tratta di monologhi tronchi, narrati da protagonisti ai quali è impossibile non dare le fattezze, spesso evanescenti, dei ritratti rovinati dal tempo scelti da Demchuk.

Nelle storie, la strana quotidianità trapassa senza sussulti nell’Altrove e i rapporti fra umani e altre creature divengono consapevoli e inevitabili.

 

[…] Mia madre si volse e scappò verso la tana per trovare una donna che non era una donna, una donna con lunghi capelli bianchi e otto mammelle, con un buco da sparo sulla spalla, i cuccioli confusi e frignanti attorno a lei, e attorno a me.
[…]– Babcia sei tu Madre Ossa?
– Potrei esserlo e non esserlo. Ma lascia che ti dica questo: sono la più grande delle figlie di mia madre e, di tutte le figlie di tutti i miei bambini, tu sei quella che un giorno prenderà il mio posto.[…]
– Ma io nonvoglio essere malvagia, non voglio che la gente mi tema. Voglio renderli felici, Voglio che mi amino […]
– Lo volevo anch’io, – disse con voce morbida. – Lo vogliamo tutte all’inizio. Vedrai come il mondo ti cambierà.
[…] E poi si è voltata a guardarmi come aveva fatto l’altra volta, non proprio come farebbe una donna, più come una bambola. Il petto e le braccia immobili, mentre la testa si ruotava sul collo, come se un bambino la stesse torcendo o forzando. – Non dev’essere per forza vera. Basta una fiaba. Basta che sia bella. – E poi ha fatto quel sorriso.
E così le ho raccontato una storia. E mentre le parole mi uscivano di bocca, tutto il mio mondo se n’è andato.
[…] – È vero? Ci sveglieremo in un mondo che sarà nuovo e pieno di luce e di gioia?
– No. – mi ha detto. – Il nostro paradiso era qui, con tutti i suoi limiti. Abbiamo vissuto, abbiamo amato, abbiamo visto cose bellissime e terribili, e ora finisce.

E a caccia di questi umani e «figli di mostri e di dei» c’è la Nichni Politsiyi, la «Polizia della Notte», decisa a eliminarli: segue le loro tracce fino a Winnipeg, penetra in un vecchio locale newyorkese all’inseguimento di un sensitivo, brucia dalle fondamenta la casa della nonna di una ragazza di oggi. Entra nel nostro mondo e nel nostro tempo. Tutti temono la Polizia della notte:

[…] E io avevo svoltato l’angolo della sala da pranzo ed eccolo lì, sulla sua sedia, alla finestra, al buio. Sedeva e guardava. Aveva un bicchiere d’acqua per me. L’ho preso e l’ho bevuto, poi l’ho posato giù.
– Ora vai a dormire.
– Perché stai qui? – ho domandato. – Che cosa aspetti?
– Nichni Politsiyi, – ha risposto lui. – Non devi preoccuparti. Torna nella tua stanza e dormi. […]
Ora mi guardo indietro e penso: la nostra famiglia ha vissuto nel terrore.

Grazie all’accostamento di storie e ritratti (delle fotografie l’autore ha dichiarato che «furono la scintilla per il libro») e alla prosa asciutta ed elegante, il testo acquista spessore e gli strani divengono comprensibili e umani, in un gioco di specchi ipnotico che, giocato la sera prima di dormire regala incubi belli e brutali, e voci che accompagnano il sonno.


 

Per comprendere fino in fondo il complesso lavoro di scavo interiore compiuto da David Demchuk vale la pena ascoltare il suo intervento a Stranimondi o leggere l’intervista pubblicata su Augur Magazine.
Riporto di seguito parte delle risposte dell’autore; la traduzione è mia e ho mantenuto in inglese i termini queer e queerness per mantenerne tutta la complessità e sfaccettatura.


Lei ha una carriera già avviata come drammaturgo. Che cosa l’ha portata ad esplorare la storia di Madre delle ossa in forma di romanzo?
Io in realtà ho iniziato la storia come un’opera teatrale intitolata la fabbrica dei ditali (questa fabbrica gioca un ruolo preminente nelle vite di un certo numero di personaggi nel corso del libro). Fu presentato come una serie di 13 brevi monologhi recitati da cinque attori di varie età, gender ed etnie, con il corrispondente ritratto dell’archivio proiettato dietro di loro. Comunque, io sentivo, mentre lavoravo sull’opera teatrale, che avrebbe potuto diventare un romanzo, – sebbene in una forma inusuale […]

La cancellazione e l’oblio sono alla base del libro. Cosa l’ha portata a questi temi?
Come uomo queer che ha raggiunto la maggiore età all’inizio della crisi HIV/AIDS, ho assistito alla perdita di una generazione di uomini queer e di persone trans. Di voci e creatori e mentori essenziali nelle nostre comunità: della storia che avevano vissuto, del lavoro che avevano creato, del sesso e dell’amore che li avevano legati insieme, e dei futuri per i quali avevano combattuto. Questo riecheggiava la perdita, e francamente lo sterminio, di altre comunità emarginate e denigrate nel corso della storia, attraverso le culture e in tutto il mondo, alcuni dei quali sapevo che erano avvenuti nell’Europa dell’Est, compreso il paese in cui nacque mio padre. Sono sempre stato attratto da questi temi, e mi aspetto che lo sarò sempre.

Quale ruolo gioca la movchanya (silenzio) – e il non detto in generale – in Madre delle ossa?
In Madre delle ossa il «silenzio» conosciuto come movchanya è una maledizione precisa. Una maledizione di infertilità, aborto spontaneo e nascita di neonati morti che mette in pericolo una comunità agricola tradizionale conservatrice, a tal punto che i suoi costumi sociali ne vengono frantumati, e identità e relazioni precedentemente non dette emergono come un mezzo per la sopravvivenza della comunità. […]

Personaggi queer come Lena e Alice appaiono accanto a creature mitiche. Perché e qual è il suo approccio allo scrivere queerness?
La queerness e la mostruosità sono state a lungo legate all’horror come genere, molte volte con la mostruosità presentata come metafore dell’identità queer e dell’esperienza queer (a volte con simpatia, con mostri tragici che non possono controllare i loro impulsi, ma il più delle volte come un modo per diffamarci ulteriormente). Era importante per me fin dall’inizio assicurarmi che i personaggi queer e trans fossero parte del mosaico di storie di Madre delle Ossa. E non limitarli a categorie semplici come «eroi», «cattivi» o «vittime». O, per quel che importa, «umani» o «mostri». Le storie di Borys, Katerina, Krisztina, Lorincz, Andreas, Gregor, Sabina, Horia, Ivan, Nadiya e Lena contengono elementi di queerness. In molte di queste storie, la queerness è legata alla trasformazione (in meglio o in peggio) o allo svelamento di un dono o di un potere segreto. Suppongo che questo dica molto su come vedo la queerness – gli aspetti che ne celebro e anche quelli che mi spaventano e mi turbano.

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