Il Potere, recensioni #4

La notizia di questa settimana è che Il Potere è stato inserito nella cinquina finalista al Premio Italia nella categoria miglior romanzo di fantascienza. Il romanzo di Alessandro Vietti (già vincitore del Premio Italia due anni fa con Real Mars) sfiderà un nugolo di ottimi concorrenti, che mai come quest’anno meriterebbero tutti un doveroso riconoscimento.
Il Potere è stato recensito qualche tempo fa da Gian Filippo Pizzo sulle pagine di Leggere: tutti.
Vi riproponiamo qui di seguito il suo ottimo articolo.


Il potere che logora?

Il protagonista di questo romanzo si chiama Alessandro, proprio come il suo autore, Alessandro Vietti. Ma non è un’autobiografia, e non potrebbe esserlo perché in fondo (forse molto in fondo) si tratta di un romanzo di fantascienza. E allora perché si chiama Alessandro? Forse perché rispecchia le idee dell’autore, ne è insomma un alter ego, oppure perché molte esperienze sono state vissute, sia pure in modo completamente differente, in situazioni affatto diverse, anche da lui, l’autore Alessandro Vietti. O semplicemente perché questa è un’altra, delle tante, “uova di Pasqua” (cioè trabocchetti, falsi indizi, scherzi) disseminate lungo tutto il testo, di cui diremo più avanti.

Ma partiamo dall’inizio, cioè dal titolo. Il Potere. Quale potere? Di chi? Forse il potere della televisione, così ottimamente trattato da Vietti nel suo precedente romanzo Real Mars? Oppure il Potere in generale, quello “forte” dei politici, dei finanzieri, dei giornalisti, della Chiesa, dei burocrati eccetera? Confessiamo che dopo aver apprezzato appunto Real Mars ci aspettavamo qualcosa di questo tipo, e invece no, perché il potere di cui parla il romanzo è un’altra cosa. Non che manchi l’aspetto politico e sociale, tutt’altro, perché il romanzo è anche una distopia, ma anche di questo diremo più in là. Il potere è quello che detiene Alessandro (il protagonista) e che lo rende un supereroe, perché Alessandro è dotato di una facoltà (come più correttamente la definisce lui stesso) del tutto inconsueta, che lo renderebbe superiore persino a Superman o all’Uomo Ragno. Non possiamo dire quale sia questa facoltà per non rovinare la lettura, ma dimenticatevi della supervista e del superudito, della possibilità di trasformarvi in un grosso energumeno verde o di diventare invisibile, di correre velocissimamente o di arrampicarvi sui muri: non è niente che abbia a che fare con i fumetti o con i supereroi dello schermo, è una facoltà del tutto inedita, nuova, incredibile. Che Vietti ha concepito con coraggio, geniale inventiva e una buona dose di incoscienza legata a una dose di politically incorrectness (perché, francamente, l’eccesso di “politicamente corretto” ha ormai stufato). E quanto è stato bravo il Vietti scrittore a dosare la scoperta di questa facoltà da parte del protagonista e del lettore! Si parte con minimi accenni che il lettore trascura (al massimo si può chiedere cosa c’entrino, ma subito sorvola), poi arrivano gli indizi (e il lettore comincia a chiedersi: ma è davvero “questa” la facoltà?) e infine c’è la certezza, sì è proprio quella. E bisogna dire che Vietti tratta l’argomento in modo piano, con grande leggerezza, così da non disturbare nemmeno chi, come il sottoscritto, è piuttosto refrattario a certi argomenti.

Da questo momento la storia prosegue con l’esplorazione da parte del protagonista della propria identità. I tentativi di comprendere completamente la sua facoltà, come può esercitarla, quanto può essere estesa, come può controllarla se tenta di sfuggirgli, perché dovrebbe utilizzarla. Una ricerca quindi della sua essenza più intima ma anche del suo ruolo nella società: chi è lui, perché proprio a lui è capitato questo potere, cosa deve farne, si deve mostrare o nascondersi, è veramente un potere oppure una dannazione, sono queste le domande che Alessandro si pone. Questa ricerca avviene – è mostrata – attraverso vari episodi della sua vita, dall’infanzia all’adolescenza fino all’età adulta, e qui molto probabilmente Alessandro il protagonista e Alessandro lo scrittore si incontrano, e si incontrano con la maggior parte di noi lettori. Perché l’esistenza descritta è la stessa che chiunque, magari nato nella seconda metà degli anni Sessanta, ha affrontato, più o meno: i rapporti difficili con i genitori (madre insignificante e padre assente), il nonno benevolo che ti accompagna ai giardini e dispensa parola di saggezza, la sorella più grande alle prese con i primi problemi sentimentali, la nonna autoritaria, l’amico del cuore Saverio con il quale dividi tutti i tuoi segreti, gli insegnanti bigotti del collegio di preti, i bulli delle classi superiori che ti rubano la paghetta, le prime esperienze sessuali, i colleghi, gli amici del bar, i rave party, le manifestazioni politiche. Tutti quadri nei quali ciascuno si riconosce, anche perché il romanzo è di ambientazione italiana (prevalentemente a Napoli e a Roma) e italianissimi sono i vari personaggi e le situazioni.

La storia di Alessandro non è raccontata cronologicamente, come potrebbe sembrare da quanto abbiamo scritto sopra, ma attraverso un diario che il nostro protagonista scrive in prigione, dove è stato condotto con l’accusa di omicidio (infondata) causata dal suo potere. Il romanzo quindi comincia non in media res ma quasi alla fine della vicenda, con questo scritto nel quale sono raccontati tutti gli eventi precedenti e nel quale l’autore si rivolge al lettore dandogli del “tu”. Ma anche nel diario gli avvenimenti non sono in ordine temporale, sono mescolati, e Vietti riesce a dosarli con notevole abilità: ogni volta che il lettore pensa di trovarsi a una svolta l’Alessandro diarista lo depista rievocando un ricordo, aumentando così la curiosità ma soprattutto rendendo più vivida la sua figura. Quindi una serie continua di sbalzi temporali, come scriverebbe una persona comune alle prese con un diario personale o un’autobiografia scritti a distanza di tempo dagli eventi. Anche su questo aspetto strutturale dobbiamo fare i complimenti a Vietti che ha ormai raggiunto la piena maturità di scrittore.

Dicevamo all’inizio che questo romanzo è anche una distopia. Sì, perché la storia si svolge comunque in un mondo – o meglio: l’Italia – che non è il nostro di adesso ma quello di un prossimo futuro (forse) in cui la situazione sociale è leggermente cambiata. Non dobbiamo farci distrarre dalle vicende umane di Alessandro perché altrettanto importante è lo sfondo che, per quanto non descritto compiutamente, affiora prepotentemente. Si capisce che c’è una dittatura, forse blanda ma comunque pesante, e certi indizi mostrano chiaramente da che parte stia Alessandro (Vietti, lo scrittore): la polizia è stata sostituita dalle Camicie Verdi; altrettanto importanti sono le Camicie Marroni, cioè i funzionari dell’INPS che devono controllare che tutti lavorino secondo i dettami della Società che è al governo; ogni cittadino ha diritto a una “spesa di cittadinanza” (guarda un po’ di 780 euro!) in cambio di un lavoro “assegnato”, che deve essere consumata entro il mese anche con l’obbligo di recarsi l’ultimo giorno in un centro commerciale. Anche se Alessandro il protagonista accenna a un “prima” rispetto all’attuale assetto istituzionale, egli lo descrive senza giudicarlo, come un dato di fatto, un realtà in cui si trova a vivere, lasciando al lettore il giudizio.

Dicevamo anche degli indizi/scherzetti disseminati lungo tutto il testo. Ne citiamo solo uno: a un certo punto si cita il film Forrest Gump interpretato da John Travolta. Forse Alessandro (il protagonista) si è sbagliato e ricordava male, o forse Alessandro (Vietti, l’autore) vuole dirci che il mondo descritto non è proprio il nostro ma quello di un qualche universo parallelo? Poco importa: in definitiva abbiamo un romanzo di fantascienza distopica (o ucronica) ben orchestrato e ottimamente scritto, che fa riflettere di cosa sia, a livello sia sociale che individuale, il concetto di “Potere”.

Pubblicato in Il Potere, Recensioni.